Lo conosciamo tutti come Telefono Rosso, e se abbiamo pensato che fosse davvero quell’oggetto è anche grazie al cinema. In alcuni film - un titolo tra tutti: Il Dottor Stranamore, di Stanley Kubrick - le comunicazioni dirette tra Stati Uniti e Unione Sovietica avvenivano grazie a un telefono a disco, con la classicissima cornetta in bachelite. Ma la realtà era molto diversa.
Il Telefono Rosso tra Washington e Mosca, infatti, era un sistema di comunicazione basato prima su telescriventi, e poi convertito in una rete di computer. Il riferimento al telefono si è affermato come comoda consuetudine, ma già dalla sua istituzione - 20 giugno 1963 - i delegati dei rispettivi governi riuniti a Ginevra erano consapevoli di implementare una linea di comunicazione diretta attraverso gli strumenti appena visti. Diretta sì, ma non troppo: le parti decisero di affidarsi allo scritto invece che alla voce per privilegiare messaggi ponderati in ogni parola, evitando il rischio delle incomprensioni e dei fraintendimenti insito nella conversazione parlata.
La rete di computer tra Casa Bianca e Cremlino è stata istituita nel 2008, e transita attraverso due satelliti e un cavo in fibra ottica. Una chat coordina le comunicazioni: per esempio, avverte dell’arrivo di un messaggio a una determinata ora. Le mail servono a consegnare i messaggi effettivi, e sono ovviamente protette da un potente sistema di cifratura. Ma quanto è forte questo sistema? Potrebbe essere hackerato, con conseguenze potenzialmente disastrose per l’intero pianeta?
Il sistema di cifratura del Telefono Rosso
Abbiamo rivolto la domanda ad Andrei Munteanu, che in HWG si occupa di Ricerca e Sviluppo, intercettando e studiando nuove tecnologie che migliorino i servizi offerti dall’azienda ai propri clienti. La sua risposta parte da una premessa: «In generale, tutto ciò che protegge i messaggi crittografati ha un fondamento matematico, e costituisce quindi un problema da risolvere per chi voglia appunto decrittare il messaggio. Bene, per risolvere questo problema sono necessarie tantissime risorse e tantissimo tempo».
Nel corso del tempo questa necessità ha assunto diverse forme, ma nella sostanza resta la stessa e fa sì che decrittare un messaggio cifrato sia estremamente difficile. «All’inizio il problema tra USA e URSS era distribuire la chiave crittografica, che era lunga esattamente come il messaggio trasmesso - spiega Andrei -. Un metodo molto poco pratico, che ora ha lasciato spazio a chiavi di lunghezza prefissata e ovviamente più corte: si misurano in bit: 256, 512, 1024 e così via. Il principio che governa l’algoritmo di criptazione è semplice: più lunga è la chiave, più è difficile decrittare. Per capire quanto sia ostico basti pensare che, per alcune lunghezze di chiave, per i computer più potenti al mondo ci vorrebbe più dell’età dell’universo stesso per arrivare a una decrittazione».
Come funziona il sistema
La stima è eloquente. Ora si tratta di capire come funziona lo scambio di messaggi cifrati, e come vengono resi leggibili. Il perno dell’operazione è la chiave di criptazione. «Si tratta di una stringa, di un numero che serve per fare operazioni su un testo, al termine delle quali questo testo è incomprensibile - racconta Andrei -. Le chiavi possono essere simmetriche, entrambe segrete e condivise da tutti coloro che partecipano alla comunicazione, o asimmetriche. In questo caso abbiamo una chiave privata e una pubblica».
Attraverso un esempio del sistema asimmetrico, Andrei ci aiuta a comprendere un ipotetico scambio di messaggi tra Washington e Mosca, con il primo che parte dagli Stati Uniti. «Questi fanno partire il messaggio nascondendolo attraverso la chiave pubblica della Russia Usa nasconde con chiave rappresenta la metà della chiave segreta che verrà utilizzata. A questo punto la Russia utilizza la chiave pubblica degli USA e manda loro il messaggio. Gli USA lo ricevono, lo decifrano con la propria chiave privata e hanno la seconda metà. Ora entrambi sono in possesso dell’intera chiave, e possono cominciare a comunicare».
Lo schema appena visto è quello basilare, che tuttavia non corrisponde integralmente a quanto accade in realtà poiché non dà la sicurezza che l’interlocutore dall’altra parte sia quello autentico. Potrebbe accadere, infatti, che uno Stato diverso si sia introdotto nella linea e cerchi di intercettare la comunicazione. Ecco perché il protocollo prevede messaggi ausiliari, sempre basati su chiave pubblica e privata, a conferma che la comunicazione avvenga tra le parti che devono essere effettivamente coinvolte; una specie di ulteriore livello di autenticazione, per assicurare che i messaggi viaggino tra chi deve riceverli.
Quanto detto finora ci consente di rispondere senza ulteriori dubbi alla domanda del titolo: no, il Telefono Rosso tra USA e Russia non può essere hackerato. E la cifratura, al momento è il metodo più sicuro per proteggere le comunicazioni digitali. A prova addirittura degli attuali computer quantistici. «Questo tipo di computer è in grado di rompere la protezione - conclude Andrei -, ed è per questo che è stata elaborata la cifratura quantistica. Ma in ogni caso, i computer quantistici non sono diffusi, non lavorano su problemi generali come un computer ordinario e si dedicano a una sola operazione, nella quale sono sicuramente molto bravi. Ma quando devono provare a decifrare una chiave di criptazione, incontrano un limite: riescono a farlo solo per chiavi corte, lunghezze lontane dalle dimensioni attuali».